Il Rischio Reputazionale

Roberto Maggi, Managing Partner di Probitas, ci propone l’importante tema del rischio reputazionale partendo dal primo di una lunga serie di articoli.

Stavo visitando la Birmania, terra meravigliosa ma non certo famosa per la libertà di espressione, cercando di entrare il più possibile in contatto con le persone e la cultura di quel Paese. Per qualche giorno ho condiviso il viaggio con un birmano che aveva un PhD in letteratura britannica; costui, per la sua posizione, aveva il privilegio di accedere a un certo numero di riviste in biblioteca. Chiacchierare con lui è stato davvero un piacere, finché un giorno non mi ha detto: “certo che voi in Italia siete messi piuttosto male”.

Amo il mio Paese e quotidianamente m’impegno per fare la mia piccola parte, ragion per cui la sua affermazione mi lasciò profonda amarezza.

L’Italia è forse associata alla pietà di Michelangelo, a 20 premi Nobel, all’incomparabile bellezza e varietà del proprio territorio, alla genialità di Leonardo… Oppure la nostra reputazione è soprattutto caratterizzata dagli aspetti peggiori del nostro essere italiani?

E che dire della reputazione del sistema produttivo del Paese?

Investiamo un enorme valore per creare e rafforzare i nostri marchi, per scoprire che cosa pensano davvero di noi i nostri stakeholders, per migliorare il nostro servizio al cliente, per attirare e valorizzare i talenti… Poi, troppo spesso, non ci curiamo di decidere e attuare le scelte che possono davvero difendere il valore, la stima e la reputazione faticosamente acquisite sul mercato.

Quotidianamente ho l’opportunità di vedere aziende di settori e dimensioni diverse e m’interrogo su quanti di noi si siano davvero occupati di considerare il rischio che la nostra reputazione, costruita con fatica negli anni, possa essere rovinata se non addirittura distrutta in pochissimo tempo con conseguenze potenzialmente catastrofiche.

Quanto abbiamo investito per proteggere il nostro patrimonio reputazionale, guadagnato nel tempo, che rappresenta un valore fondamentale di qualunque impresa?

E quali sono le vere minacce per la nostra reputazione?

Quanto abbiamo speso per valutare e valorizzare i possibili impatti di eventi indesiderati?

Quanto accuratamente abbiamo valutato interventi incentrati sulla prevenzione, piuttosto che sul rimedio quando, ormai, la “frittata” è fatta?

No, non intendo riferirmi solo al rischio che i clienti o le nostre persone chiave ci abbandonino o che le banche ci riconoscano minor credito. Mi chiedo anche quali siano le effettive minacce sottostanti.

Oggi la nostra reputazione può essere pregiudicata per una serie di cause: per un’interruzione di servizio; perché non abbiamo rispettato le regole definite per il corretto funzionamento del mercato o della società; perché in tutto il mondo il livello di attenzione alla prevenzione della corruzione è altissimo; perché non abbiamo messo la persona al centro delle nostre decisioni e non siamo stati in grado di trattenere i talenti e trasferire competenze adeguate; perché non abbiamo adeguatamente gestito una criticità finanziaria; perché abbiamo sottovalutato l’importanza di avere stakeholder soddisfatti; perché abbiamo sottostimato la relazione di equità nei rapporti di scambio; perché non abbiamo comunicato rispettando la sensibilità di diversi gruppi etnici, comunità religiose e movimenti culturali; perché non abbiamo colto la straordinaria potenza della comunicazione via Web che circola con modalità assolutamente innovative rispetto al passato.

La buona notizia è che, come insegna un noto paradigma di management, le minacce possono essere trasformate in opportunità.

Per ciascuno di questi temi e di questi rischi, così come per altri non elencati, esistono sistemi di prevenzione, di controllo e di mitigazione, integrabili fra loro, che non costituiscono il modo per “ingessare” l’impresa, bensì per disegnare processi che oggi definiremmo lean, governati e attuati da persone consapevoli e dotati di controlli interni, di diverso livello, veramente capaci di mitigare i rischi.

Non si tratta quindi di inventare la ruota, bensì di adattare alle specifiche criticità delle singole imprese quei modelli manageriali che rappresentano le migliori prassi mondiali e farlo applicando una metodologia che consenta di coniugare efficacia, conformità ed efficienza.